Storia

Torre Val Gorera

Il documento più antico in cui è nominata Torre Valgorrera risale al 1190 quando i signori Stuerda la cedettero ai Pelletta che con i Malabaila ressero il feudo fino al XIV secolo: erano grandi e nobili famiglie astigiane di mercanti e banchieri presenti con i loro banchi di prestito a Lucerna, Zurigo e persino a Bruxelles.

Dal ‘400 al ‘700 si alternarono nella proprietà casati importanti della nobiltà piemontese – i Provana, i Roero Trotti, i Parella – fin quando, nel 1783, il castello e 223 giornate di terreno risultano appartenere ai Cavour che operarono profonde trasformazioni nell’allestimento e nell’arredo dell’area residenziale.

Il 26 luglio 1818 il Marchese Michele Giuseppe Benso di Cavour, padre di Camillo che allora era un bimbetto di otto anni, vendette la proprietà a Gioachino Rolle a cui poco dopo subentrarono i fratelli Nigra, cugini di Costantino il celebre ministro degli esteri dei Savoia che alla corte di Napoleone III tanto si prodigò affinché le grazie della Contessa di Castiglione sortissero gli effetti politici sperati.

Furono i Nigra a restaurare la torre ottagonale che ancora oggi conferisce all’edificio quell’aspetto di elegante dimora gentilizia contrapposta, con intrigante armonia, alla facciata della massiccia fortezza medioevale.

Nel secolo scorso Torre Valgorrera passò di mano a varie famiglie borghesi ed una di queste la possiede tuttora.

Arte

La Torre è stata ritratta da Clemente Rovere, un funzionario regio che dal 1827 al 1856 percorse il Piemonte, la Savoia e la Liguria per eseguire, su ordine del re, vedute delle dimore storiche più significative. Le sue tavole sono oggi conservate a Palazzo Carignano a Torino.
Lucarini
Rovere

Poesia

La severità gentile delle linee architettoniche, l’armonioso contrasto tra l’ocra dei mattoni e il verde dei campi, la vivace pacatezza dell’atmosfera rendono Torre Valgorrera un luogo ideale per ispirare l’estro degli artisti.

Ant la pian-a ‘d Poirin, Tor Valgorera,  
t’sess n’erbo rossa n mez al verd dij pra  
sola ant ël cel e ferma ant ël passà  
të spécie drinta l’eva dla pëschera.

Rense e cerese avische a primavera  
as biànto ant l’ària con ij branch piegà,  
antant che,sota l’eva abandonà,  
s’antërso antorn a la toa front legera.

Tut a l’antorn i-è la campagna granda.  
‘Dsora ‘l frèsch ëd j’arbron che at fan garlanda,  
ant ij frisson ciàir e sutìi ëd l’aria

che a penten-a ‘l tërfeuj coma ‘d cavèj,  
ti it drisse,ò tor sperdüa e solitaria,  
coma ant na tèila dël Marchèis d’Azej.

Nella piana di Poirino, Torre Valgorrera,
su un nerbo rosso in mezzo al verde prato 
sola nel cielo e ferma nel passato 
ti specchi dentro l’acqua della peschiera.

Rose e ciliegie accese a primavera 
sbattono nell’aria le fronde piegate 
che, riflesse nell’acqua abbandonate, 
s’intersecano intorno alla tua fronte leggera.

Tutto il resto è campagna grande. 
E, all’ombra dei merli che paion ghirlande, 
nei fremiti chiari e sottili dell’aria

che pettinano il trifoglio al suo meglio, 
tu ti ergi, o torre sperduta e solitaria, 
come in una tela del Marchese d’Azeglio.